Chi sono gli hooligans e perché sfogano la loro violenza negli stadi?

Scontri, vandalismo e atti criminali, vediamo chi sono gli hooligans e le ragioni che si trovano alle radici di questo movimento

Il Cambridge Dictionary definisce hooligan come “una persona violenta che combatte o provoca danni in luoghi pubblici, identificando nell’hooliganismo la manifestazione di tale comportamento. Nonostante l’etimologia rimanga incerta, potrebbe derivare dall’irlandese houlihan, il cognome di una immaginaria famiglia di accaniti bevitori menzionata in alcuni canti popolari e fumetti del XIX secolo. Il termine fu utilizzato per la prima volta nell’aprile del 1894, durante il processo al diciannovenne Charles Clarke per l’aggressione a un agente di polizia. Il quotidiano londinese Daily News lo descrisse come “il capo di una banda di giovani nota come Hooligan Boys“. Dall’agosto del 1898, dopo la morte di un ragazzo in uno scontro tra bande, la parola hooligan divenne sempre più popolare e frequente nella stampa inglese. Sebbene inizialmente mancassero riferimenti specifici al calcio, dagli anni Sessanta in poi questa correlazione diventò un’abitudine intrinseca al gioco. Ma vediamo tutto ciò che c’è da sapere a proposito di questo movimento.

Hooligans, storia e motivazioni

L’origine di questo fenomeno può essere fatta risalire alla fine dell’Ottocento, dopo la creazione della Football Association (FA) e la legalizzazione del professionismo nel 1885. Il primo episodio documentato di violenza da stadio si verificò nel 1885 dopo un’amichevole tra Preston North End e Aston Villa, terminata 5-0. Tifosi furiosi attaccarono le squadre con bastoni, pietre, calci e pugni, definendo gli aggressori “teppisti urlanti. Nel 1886, l’hooliganismo si estese al di fuori del campo da gioco con una rissa tra i sostenitori del Preston e quelli del Queens Park. Iniziò così la prima fase dell’hooliganismo calcistico, caratterizzata da violenze tra gruppi di tifosi socialmente organizzati, principalmente rivolte contro arbitri e giocatori.

Nonostante la mancanza di dati precisi sulla frequenza di tali eventi, sembra che tali episodi non fossero così rari nell’Inghilterra precedente alla guerra. Secondo lo studioso John Hutchinson, tumulti, indisciplina, brutalità e vandalismo erano presenti almeno dal 1870 nelle partite di calcio. La violenza è stata una costante nella storia del calcio fin dalla sua nascita.

Hooligans
Immagine | Pixabay @SplitSecondStock – Wigglesport.it

Il contesto storico dell’epoca della seconda rivoluzione industriale svolse un ruolo cruciale. I grandi cambiamenti nella vita della classe operaia portarono il concetto di forza e la tolleranza della violenza a un ruolo centrale. La working class vide nel calcio un’opportunità di evasione dalla routine quotidiana, identificando affinità con i concetti di destrezza, controllo e potenza tipici del lavoro industriale.

Gli studiosi Eric Dunning, Patrick Murphy e John Williams, nel libro “The roots of football hooliganism: an historical and sociological study“, individuarono cause di tali comportamenti. La frustrazione per le prestazioni deludenti dei giocatori portava i tifosi a sfogare la rabbia con invasioni di campo e attacchi. L’uso di violenza rappresentava un modo per superare la frustrazione di aver speso denaro guadagnato faticosamente. Inoltre, la sensazione di eccitazione, mascolinità e rivalità nel gioco veniva sfruttata dalle bande giovanili vittoriane, trasferendo sulla tribuna i linguaggi e i comportamenti della strada.

Il prototipo del tifoso “perbene” resistette fino alla metà degli anni Cinquanta, quando l’hooliganismo si intrecciò con le sottoculture britanniche. I Teddy Boy furono i primi a emergere, ribellandosi al sistema classista e opponendosi alle restrizioni postbelliche. La loro violenza, manifestata in risse e scontri, rese il calcio un rituale della gioventù operaia.

Dopo l’omicidio di John Beckley nel 1953, attribuito ai Teddy Boy, iniziò un’isteria collettiva che li demonizzò come simbolo della decadenza inglese. Mod e rocker, successivamente, furono oggetto di panico morale dopo gli scontri di Brighton nel 1964, etichettati come devianti incompatibili con i valori della società.

Il numero crescente di ragazzi scalmanati negli stadi portò l’hooliganismo in una nuova dimensione, collegata alle sottoculture. Gli skinhead, apparsi nel 1968, temevano i cambiamenti sociali e vedevano il calcio come presidio simbolico di quartiere, consolidando la violenza come strumento di affermazione di autorità.

Le end dello stadio divennero il luogo ideale per esprimere violenza, emarginando i tifosi anziani e pacifici. La devianza hooligan si sviluppò in una tendenza di massa, evidenziata dal Chester Report del 1966, che registrò un raddoppio degli atti di teppismo nei primi cinque anni del decennio. Combattimenti tra bande divennero frequenti, attirando l’attenzione mediatica.

Mentre le istituzioni lottavano nel gestire la situazione, il tifo violento subì un processo di istituzionalizzazione nei primi anni Settanta con la formazione delle prime firm, termine adottato dagli hooligan per indicare la crescente organizzazione. Rispetto alla precedente ondata di hooliganismo, l’attività divenne più pianificata e basata sulla corporazione.

Le tifoserie iniziarono a praticare il “take the end“, cercando di occupare il settore avversario e mettere in fuga la tifoseria nemica. Quest’ultimo passo nella violenza calcistica fu agevolato dall’impreparazione delle forze dell’ordine, degli steward e dall’aumento delle risorse finanziarie dei sostenitori. Le drammatiche conseguenze di tali azioni furono evidenti.

Il 29 maggio 1974, durante la finale di Coppa UEFA tra Feyenoord e Tottenham, i sostenitori degli Spurs provocarono disordini a Rotterdam e nel De Kuip, spingendo l’allenatore Bill Nicholson a denunciarli come una disgrazia per il Tottenham e l’Inghilterra. Tre mesi dopo, si verificò la prima vittima legata all’hooliganismo: il diciassettenne tifoso del Bolton Kevin Olsson fu mortalmente accoltellato durante una rissa contro i rivali del Bolton nei pressi di Bloomfield Road.

Nel frattempo, l’hooliganismo si trasformava in una spiacevole “malattia” che raggiunse l’apice nel 1985, considerato un anno nero per il calcio inglese. Gli scontri televisivi del 13 marzo durante il sesto turno di FA Cup tra Luton Town e Millwall portarono il problema della violenza legata al calcio all’attenzione della premier Margaret Thatcher. Due settimane più tardi, insieme alla federazione, elaborò un piano per aumentare l’uso delle telecamere, conferire maggiori poteri alla polizia, vietare la vendita di alcool negli stadi, migliorare le recinzioni, incrementare i match solo su invito e introdurre l’uso delle carte di identità.

A maggio, si verificò il rogo di Bradford in uno stadio senza estintori per evitare il loro uso come armi e la tragedia dell’Heysel, considerata una svolta nella storia dell’hooliganismo, dalla quale scaturirono leggi successive. La risposta politica inglese si tradusse in misure preventive e repressive: stadi militarizzati e l’installazione esagerata di gabbie e recinzioni divennero la norma, aumentando l’insofferenza tra cittadini e forze dell’ordine. I rapporti Popplewell, redatti per indagare sugli incidenti di Bradford e successivamente estesi all’Heysel, suggerirono l’ampliamento dei poteri di arresto della polizia e l’illimitato potere di perquisizione dei tifosi prima dell’ingresso negli stadi. Venne promosso anche un sistema di affiliazione, seguendo l’esempio di Evans, per escludere i sostenitori ospiti, suscitando però critiche riguardo a una presunta schedatura totale degli individui e la violazione delle libertà personali.

Le leggi anti-hooliganismo

Nel 1985, la regina Elisabetta II approvò lo Sporting Events (Control of Alcohol etc) Act per affrontare il problema del consumo eccessivo di alcolici, visto come una delle cause dell’hooliganismo, vietando la vendita e il possesso di alcol negli stadi, nelle zone circostanti, su treni e autobus, con la minaccia di reclusione fino a tre mesi per chi trasgredisse. L’anno successivo, il Public Order Act introdusse gli exclusion order, consentendo ai tribunali di vietare l’accesso negli stadi ai tifosi violenti e obbligandoli a firmare presso le stazioni di polizia.

L’attenzione ossessiva verso “legge e ordine” portò il Segretario di Stato per gli Affari Interni, Douglas Hurd, a istituire un gabinetto di guerra per indagare sui giovani che scatenavano disordini in città e negli stadi. Questo clima di paura contribuì al panico morale dell’hooligan hysteria. La decadenza generale intorno al calcio, compresi stadi vecchi, hooliganismo e la paura dell’hooliganismo, contribuì ai fattori che innescarono il disastro di Hillsborough. In risposta, il Parlamento approvò nel novembre 1989 il Football Spectators Act, introdurre la National Membership Scheme, obbligando i tifosi a possedere una tessera nominale per entrare negli stadi.

Nonostante l’approvazione del Football Spectators Act, la sua attuazione fu ostacolata dalle rimostranze del giudice Peter Taylor, che la considerò sproporzionata, controproducente e ingiusta. Le leggi successive, come il Football Offences Act 1991, il Criminal Justice and Public Order Act 1994 e il Football (Offences and Disorder) Act 1999, introdussero specifici reati da stadio e aumentarono le sanzioni contro gli hooligan. Il Football Disorder Act 2000 aggiunse misure di prevenzione, trasformando gli exclusion order negli attuali football banning order, aumentando il periodo massimo di interdizione dagli stadi a dieci anni. Queste leggi, associate a un aumento dei prezzi dei biglietti e al cambiamento culturale favorito dalla musica acid house, hanno contribuito a ridurre l’hooliganismo, anche se il fenomeno non è completamente scomparso. La rivalutazione del calcio inglese è avvenuta attraverso una combinazione di leggi punitive, trasformazioni degli stadi e cambiamenti culturali, consentendo al calcio di diventare uno spettacolo sia dentro che fuori dal campo.

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