Panatta: un gesto per Gaza e un appello alla pace tra Italia e Israele - ©ANSA Photo
L’ex campione di tennis Adriano Panatta ha recentemente condiviso il suo punto di vista su come lo sport possa giocare un ruolo fondamentale nella sensibilizzazione riguardo alla situazione a Gaza, in vista delle prossime partite di qualificazione ai Mondiali di calcio che vedranno l’Italia affrontare Israele. In un’intervista con l’ANSA, Panatta ha messo in evidenza l’importanza dei segnali di solidarietà, sottolineando che è essenziale che tali messaggi siano espressi in modo pacifico. “I segnali sono sempre importanti, fondamentale è che non siano violenti”, ha affermato, richiamando alla mente il suo gesto simbolico avvenuto cinquant’anni fa.
Nel 1976, durante il regime di Pinochet in Cile, Panatta e la squadra italiana di tennis trionfarono in Coppa Davis, ma non senza suscitare polemiche. Nonostante le critiche, la partita si disputò, e Panatta indossò una maglietta rossa in segno di protesta contro le violazioni dei diritti umani del regime cileno. “Noi facemmo una protesta, e per trent’anni non se n’è accorto nessuno”, ha raccontato, evidenziando come gesti di questo tipo possano rimanere silenziosi nel tempo.
Con l’Italia di Gattuso pronta a scendere in campo il prossimo 8 settembre in un incontro in campo neutro in Ungheria, seguito da una partita a Udine il 14 ottobre, il dibattito si fa più acceso. Diverse figure politiche, tra cui Laura Boldrini e l’ex allenatore della nazionale di pallavolo Mauro Berruto, hanno sollevato la questione: si deve giocare o no? Alcuni chiedono una posizione chiara riguardo al conflitto israelo-palestinese, mentre altri criticano il silenzio da parte della FIFA, che ha affrontato situazioni simili, come il divieto di partecipazione per la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina.
Per Panatta, è cruciale che qualsiasi forma di dissenso sia diretta contro il governo di Netanyahu, e non contro il popolo israeliano. “Il dissenso deve essere contro Netanyahu, non contro il popolo israeliano”, ha dichiarato, aggiungendo che manifestazioni che sfociano in insulti non sono accettabili. La sua posizione è chiara: “Se tutto poi deve trasformarsi in insulti o fischi contro Israele, allora meglio lasciar stare. Sono contrario a questo genere di manifestazioni”.
Il dibattito su come gli eventi sportivi possano essere utilizzati per veicolare messaggi politici e di solidarietà non è nuovo. In passato, gesti come inginocchiarsi durante l’inno nazionale o indossare simboli di protesta sono stati utilizzati da atleti per esprimere il loro dissenso su questioni sociali e politiche. Questi atti, per quanto possano sembrare piccoli, rappresentano un modo potente per utilizzare la visibilità che lo sport offre. Panatta, tuttavia, avverte che non tutte le forme di protesta sono efficaci o ben accolte.
Il contesto attuale, caratterizzato da un aumento delle tensioni in Medio Oriente e un clima di polarizzazione politica, rende le parole di Panatta ancora più rilevanti. La sua esperienza passata nella lotta contro l’oppressione e le ingiustizie lo rende un portavoce credibile su come lo sport possa essere un veicolo di cambiamento sociale.
La situazione a Gaza è complessa e dolorosa, e molti atleti e celebrità si sono espressi in solidarietà con i civili colpiti dal conflitto. Tuttavia, Panatta invita a riflettere su come questi gesti possano essere interpretati e ricevuti, sostenendo che la violenza verbale e gli insulti non porteranno a nulla di costruttivo. “Insomma, un gesto pulito, bello ed evidente”, conclude Panatta, richiamando alla memoria i suoi tocchi eleganti sul campo da tennis, metafora di come si possano affrontare anche le questioni più delicate con grazia e rispetto.
In un momento in cui il mondo dello sport è sempre più intrecciato con le questioni sociali e politiche, le parole di Adriano Panatta risuonano come un invito a riflettere su come possiamo utilizzare la nostra voce e la nostra visibilità per promuovere un messaggio di pace e unità, piuttosto che divisione.
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