Jacobs: Arrivare ultimi è meglio che barare - ©ANSA Photo
Marcell Jacobs, il velocista italiano che ha trionfato nei 100 metri ai Giochi Olimpici di Tokyo 2020, ha recentemente affrontato le voci persistenti sul doping durante un’intervista a Jacksonville, in Florida. Con fermezza, ha dichiarato: “Per me posso anche arrivare ultimo a tutte le gare. Ma pensare di barare, perché? Per quale motivo?”. Questa affermazione non solo evidenzia il suo impegno per la lealtà sportiva, ma mette in luce anche la pressione che gli atleti di alto livello devono affrontare, soprattutto dopo un successo inaspettato.
Jacobs ha riconosciuto di aver “pagato un prezzo” dopo la sua vittoria a Tokyo, sottolineando come il suo trionfo avesse scosso l’opinione pubblica. “Sembrava impossibile che un italiano potesse vincere”, ha aggiunto, evidenziando il contesto storico in cui gli sportivi italiani si sono dovuti confrontare con aspettative e pregiudizi. Nonostante le chiacchiere, ha affermato che queste calunnie “non mi hanno mai minimamente toccato”, dimostrando una notevole resilienza.
La decisione di allenarsi negli Stati Uniti rappresenta un passo consapevole verso un nuovo inizio. Jacobs ha dichiarato: “Siamo venuti dall’altra parte del mondo per allenarci nel miglior modo. Mi sentivo perso e avevo bisogno di cambiare tutto”. Questa affermazione rivela molto sulla psiche dell’atleta e sulla pressione del successo, che lo ha spinto a cercare un ambiente stimolante per la sua crescita.
La storia di Jacobs è segnata anche da una complessa relazione con il padre, un americano che lo ha abbandonato da bambino. Ha confessato: “Ho vissuto l’abbandono del fatto che io non ho mai avuto una figura paterna”. Queste parole rivelano il profondo legame tra la vita personale e le performance sportive. Dopo aver intrapreso un percorso psicologico per affrontare queste difficoltà, ha trovato un modo per riallacciare i rapporti con il padre, esprimendo: “Mi sono sentito un po’ più leggero”.
Un altro aspetto interessante della carriera di Jacobs è il suo rapporto con l’amico e collega Filippo Tortu, un altro grande velocista italiano. Jacobs ha dichiarato: “Tortu è sempre stato uno di quelli che mi ha aiutato a diventare l’atleta che sono oggi”. La competizione tra i due ha spinto entrambi a migliorare le loro performance, creando un circolo virtuoso di crescita. Jacobs ha spiegato come il passaggio verso una mentalità vincente sia stato cruciale: “Poi, quando ho fatto quel passaggio mentale che mi serviva, sono diventato il numero uno al mondo”.
In un’epoca in cui gli scandali di doping affliggono molte discipline sportive, la testimonianza di Jacobs rappresenta una dichiarazione di intenti. La sua scelta di non barare, anche a costo di arrivare ultimo, evidenzia il valore dell’integrità e della sportività. La sua storia diventa così un esempio di successo, ma anche un inno alla lealtà e all’impegno personale, valori fondamentali in ogni carriera sportiva. La figura di Marcell Jacobs rappresenta non solo quella del campione olimpico, ma anche quella di un uomo che ha affrontato le sue paure e ha trovato la forza di riallacciare legami familiari, continuando a perseguire il sogno di rimanere sulla vetta del mondo dell’atletica leggera.
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