Dan Peterson, una delle figure più rispettate nel panorama del basket italiano e internazionale, ha recentemente suscitato un vivace dibattito proponendo l’abolizione del tiro da tre punti. La sua opinione non è solitaria; è stata supportata da due illustri allenatori, Bogdan Tanjevic e Valerio Bianchini, che condividono la sua visione nostalgica e critica nei confronti di una pratica che, secondo loro, ha snaturato il gioco del basket. Nonostante le rispettive età di quasi 89 anni per Peterson, 81 per Bianchini e 77 per Tanjevic, il loro amore per il gioco e la loro esperienza li portano a riflettere su una questione cruciale: il tiro da tre sta veramente migliorando il basket o lo sta riducendo a una mera esibizione?
il dibattito sul tiro da tre
Peterson inizia la sua argomentazione sottolineando che, sebbene il tiro da tre possa sembrare un elemento apprezzato dai tifosi più giovani, c’è un numero crescente di appassionati che si dichiarano annoati dal gioco attuale. La frustrazione deriva dalla percezione che il basket moderno sia diventato un gioco di “tiri da tre” e che le squadre abbiano ridotto il loro repertorio offensivo a una sola strategia: tirare da lontano. Questo approccio, secondo Peterson, limita la creatività e la dinamicità del gioco, trasformandolo in una sfida in cui le squadre sono dipendenti dalla loro precisione da dietro l’arco.
la scomparsa di figure fondamentali
Un aspetto centrale della sua critica è la scomparsa di figure fondamentali nel basket, come i veri pivot e playmaker. Con il predominio del tiro da tre, i centri tradizionali, capaci di dominare sotto canestro, sono stati sostituiti da “pivot bonsai”, giocatori più snodati e agili, ma meno incisivi nel gioco vicino al canestro. Allo stesso modo, i playmaker, che un tempo erano i registi del gioco, hanno visto il loro ruolo evolversi in quello di semplici distributori di palla, piuttosto che creatori di gioco. Peterson cita leggende come Magic Johnson e John Stockton, evidenziando come il loro contributo al gioco non possa essere replicato in un contesto dove il tiro da tre ha preso il sopravvento.
la varietà del gioco
La sua osservazione si estende anche all’equilibrio del gioco stesso. Infatti, con l’aumento dei tiri da tre, si è assistito a una vera e propria rinuncia a giocare all’interno dell’area. Peterson mette in guardia: “Rinunciare a ben il 60% dell’area d’attacco è un suicidio tecnico”. Con la quasi totale assenza di tiri da due punti, il gioco perde la sua varietà e complessità. Non ci sono più quei momenti magici di palleggio-arresto-tiro che hanno caratterizzato le giocate di grandi campioni come Michael Jordan. La bellezza del basket, secondo Peterson, risiedeva nella diversità delle giocate, nella capacità di un giocatore di segnare da diverse posizioni del campo.
una proposta di cambiamento
Nonostante le sue posizioni radicali, Peterson non si definisce un assolutista. È aperto a una “mezza soluzione” che prevede di mantenere il tiro da tre, ma con limitazioni. Propone di fissare la linea da tre punti in modo che coincida con il bordo laterale all’altezza della linea di tiro libero prolungato. In questo modo, il tiro da tre sarebbe possibile solo in determinate aree del campo, incoraggiando le squadre a sviluppare schemi e sistemi di gioco più complessi e vari.
Peterson è convinto che, senza la pressione del tiro da tre, gli allenatori tornerebbero a esplorare le possibilità creative del gioco, proprio come in passato. Ha citato alcuni concetti di gioco che potrebbero rimanere validi:
- Penetrazione e passaggio
- Circolazione della palla
- Spaziatura
- Rapidità nel ricevere e tirare
Queste dinamiche non solo arricchirebbero il basket, ma lo renderebbero anche più emozionante da guardare.
In ultima analisi, Dan Peterson desidera un ritorno a un basket più puro, dove ogni canestro, indipendentemente dalla distanza, conta nel modo in cui è stato concepito per quasi un secolo. La sua visione non è solo una nostalgica evocazione di un passato glorioso, ma una chiamata a riflettere sul futuro del gioco. Come lui stesso afferma, “un canestro è un canestro”, e il basket dovrebbe tornare a essere un’espressione di abilità, strategia e creatività, piuttosto che un mero calcolo di probabilità legato alla distanza da cui si tira.